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Migranti: flussi ininterrotti e invasivi, “la scioccante visione profetica giovanpaolina”
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Gli eccessivi sbarchi di migranti verificatisi in Sicilia negli ultimi tempi, hanno raggiunto livelli molto preoccupanti. Sono ripetuti e pressanti i richiami, le denunce e i “gridi di allarme” esternati da parte del governatore dell’Isola (“A Lampedusa la situazione resta drammatica”) e di diversi sindaci, specialmente di quello dell’isoletta stracolma, dove è ormai impossibile provvedere a una civile sistemazione dei nuovi arrivi massicci e ininterrotti. Un giornale ha titolato: “Riprende l’invasione all’Italia”. Un allarme preoccupante che non può non richiamare l’avvertimento profetico di Giovanni Paolo II, a seguito di una sua visione rivelata da mons. Mauro Longhi e pubblicata da La Nuova Bussola il 18 novembre 2017.
«Vedo la Chiesa del terzo millennio afflitta da una piaga mortale, si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire dall’Occidente all’Oriente: dal Marocco alla Libia, dall’Egitto fino ai paesi orientali». Questa è la scioccante visione di San Giovanni Paolo II, mai pubblicata prima d’ora, riportata da Valerio Pece. Testimone della confessione destinata a far rumore è monsignor Mauro Longhi, del presbiterio della Prelatura dell’Opus Dei, molto spesso a stretto contatto con il Papa polacco «Vedo la Chiesa del terzo millennio afflitta da una piaga mortale, si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa.
Per fare la necessaria chiarezza e inquadrare la visione profetica di Karol Wojtyla, precisa Pece, così come riportata da un sacerdote al di sopra di ogni sospetto (monsignor Longhi ha goduto della stima personale non solo di Giovanni Paolo II ma anche di Benedetto XVI, tanto da essere chiamato nel ’97 al Dicastero vaticano della Congregazione del clero) sono necessari alcuni riferimenti geografici e temporali. Dal 1985 al 1995 l’allora giovane economista bocconiano Mauro Longhi (sarà ordinato sacerdote nel ’95) ha accompagnato e ospitato Papa Wojtyla nelle sue proverbiali sciate e passeggiate in montagna.
Ma è senz’altro il Karol Wojtyla mistico quello su cui il monsignore ha intrattenuto i fortunati uditori saliti a Bienno, è la sottolineatura; quello che monsignor Longhi incontrava di notte nella cappella della casa di montagna inginocchiato per ore sugli scomodi banchi di legno davanti al Tabernacolo. Ed è il Papa che, sempre di notte, chi abitava la casa abruzzese sentiva dialogare, a volte anche animatamente, con il Signore o con la sua amata madre, la Vergine Maria.
Valerio Pece poi si addentra nei particolari del racconto di Mons. Longhi: «“Lui ha il dono della visione”, mi confidò Andrzej Deskur. Al che gli chiesi cosa significasse. “Lui parla con Dio incarnato, Gesù, vede il suo volto e vede anche il volto di sua madre”. Da quando? “Dalla sua prima Messa, il 2 novembre 1946, durante l’elevazione dell’ostia. Monsignor Longhi aggiunge che il segreto svelatogli dal cardinal Deskur si può paradossalmente intuire leggendo l’ultima enciclica di Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia. Qui, al numero 59 della “Conclusione”, proprio mentre il papa polacco ricorda il momento della sua prima messa, lui stesso finisce per svelare il mistero che lo ha accompagnato tutta la vita: «I miei occhi si sono raccolti sull’ostia e sul calice in cui il tempo e lo spazio si sono in qualche modo “contratti” e il dramma del Golgota si è ripresentato al vivo, svelando la sua misteriosa “contemporaneità”».
Tra i tanti raccontati, però, l’episodio che più ha colpito la platea dell’eremo di Bienno, specifica Pece, e che si inserisce nella cornice di una delle tante passeggiate sul Massiccio del Gran Sasso, è senza dubbio quello che ha come fuochi l’islam e l’Europa. Monsignor Longhi fa precedere le parole del santo polacco – oggettivamente impressionanti – da un prologo molto umano, a tratti inaspettatamente ilare, fatto di battute, sulla pubblicazione anticipata di quel Catechismo della Chiesa Cattolica fortissimamente voluto da Wojtyla. Il passaggio di mons. Longhi (con le sue tappe di avvicinamento alla terribile visione mistica del Papa) va dunque riportato interamente (la conferenza è su YouTube, dal minuto 48 è possibile guardare il passaggio che stiamo raccontando).
I due sono appoggiati ad una roccia, l’uno di fronte all’altro, è la precisazione, mangiando un panino e aspettando l’arrivo del gruppo. Questo il racconto testuale del monsignore: «Avevo posato lo sguardo su di lui pensando che poteva aver bisogno di qualcosa, lui però si accorge che io lo guardo, aveva il fremito nella mano, era l’inizio del Parkinson. “Caro Mauro, è la vecchiaia.”, ed io subito: “Ma no, Santità, lei è giovane!”. “Non è vero! Dico che sono vecchio perché sono vecchio!”». A parere del monsignore è proprio lo scorrere del tempo insieme all’incedere della malattia a portare il Papa polacco a sentire la necessità impellente di trasmettergli quella visione mistica.
«Ecco allora che Wojtyla cambia tono e voce – continua il monsignore – e facendomi partecipe di una delle sue visioni notturne, mi dice: “Ricordalo a coloro che tu incontrerai nella Chiesa del terzo millennio, racconta Valerio Pece. Vedo la Chiesa afflitta da una piaga mortale. Più profonda, più dolorosa rispetto a quelle di questo millennio”, riferendosi a quelle del comunismo e del totalitarismo nazista. “Si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire dall’Occidente all’Oriente”, e mi fa una ad una la descrizione dei paesi: dal Marocco alla Libia all’Egitto, e così via fino alla parte orientale. Il Santo Padre aggiunge: “Invaderanno l’Europa, l’Europa sarà una cantina, vecchi cimeli, penombra, ragnatele. Ricordi di famiglia. Voi, Chiesa del terzo millennio, dovrete contenere l’invasione. Ma non con le armi, le armi non basteranno, con la vostra fede vissuta con integrità”».
Questa la preziosa testimonianza, precisa Il giornalista, di chi per anni è stato a stretto contatto con il Santo Padre, e con questi haconcelebrato molte volte. Inutile sottolineare poi come la confessione di Papa Wojtyla risalga al marzo del 1993, e 24 anni fa molto diversi erano sia il quadro sociale che i numeri della presenza islamica in Europa. Non è un caso, forse, che nell’ormai dimenticata esortazione apostolica del 2003, Ecclesia in Europa, Giovanni Paolo II parlasse chiaramente di un rapporto con l’islam che doveva
essere «corretto», condotto con «prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti», avendo coscienza del «notevole divario tra la cultura europea, che ha profonde radici cristiane, e il pensiero musulmano» (n.57). Pur con il linguaggio proprio di un documento magisteriale, per sua natura trattenuto, sembrava che il santo Padre implorasse l’instaurarsi di una conoscenza dell’islam «obiettiva» (n.54). Un paradigma e una sensibilità, dunque, chiari e inequivocabili, specie se si considera un altro passaggio di Ecclesia in Europa, quello in cui in cui Papa Wojtyla – dopo aver stigmatizzato «la frustrazione dei cristiani che accolgono» e che invece in molti paesi islamici «si vedono interdire l’esercizio del culto cristiano» (n.57) – parlando dei flussi migratori arrivava addirittura ad auspicare una «ferma repressione degli abusi» (n.101).
C’è da prendere atto, è la conclusione di Pece, che siamo di fronte alla lettura polically uncorrect del fenomeno islam da parte di un Papa canonizzato dalla Chiesa cattolica; una lettura prima “profetica” e poi magisteriale (non è difficile ipotizzare che la scioccante visione profetica giovanpaolina abbia influenzato la sua scrittura di Ecclesia in Europa). «L’islam ci invaderà». Forse lo sta già facendo. Mentre, inesorabile, si va spegnendo la luce sull’Europa cristiana, ridotta a una cantina piena solo di vecchi cimeli e ragnatele. “Karol il Grande” ha parlato, ancor più oggi ci invita a resistere all’invasione con la fede vissuta integralmente.
Redazione da a. di i.