“Fratelli tutti”, dall’enciclica di Papa Francesco: “amicizia sociale” per curare un mondo malato

Redazione1
di Redazione1 Ottobre 5, 2020 23:16

“Fratelli tutti”, dall’enciclica di Papa Francesco: “amicizia sociale” per curare un mondo malato

Per un mondo malato, e non solo di Covid, è la fraternità che si ispira al modello del Buon Samaritano la terapia che propone Papa Francesco nella sua terza enciclica, firmata ad Assisi sulla tomba di Francesco e diffusa nel giorno della festa del Santo (da SIR). Nel quarto capitolo propone una “governance per le migrazioni”. Nel quinto Bergoglio mette in guardia dal “populismo irresponsabile” tracciando l’identikit del “buon politico”. Auspica una riforma dell’Onu, affermando che “Il mercato da solo non risolve tutto”. “La Shoah non va dimenticata, mai più la guerra” il suo fermo ammonimento. Ed esorta alla gentilezza citando una canzone di Vinicius de Moraes.

Nel tracciare la vera via della pace, Papa Francesco nella sua terza enciclica “Fratelli tutti” scrive: “È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la strategia, non quella stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne. Parla poi di “amicizia sociale” come via per “sognare e pensare ad un’altra umanità”, seguendo la logica della solidarietà e della sussidiarietà per superare l’”inequità” planetaria già denunciata nella Laudato si’. “Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi”, è la ricetta del Papa per il mondo post-Covid. La terapia è la fratellanza, il testo di riferimento è il documento di Abu Dhabi e il modello è quello del Buon Samaritano, che prende su di sé “il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti”.

Il Coronavirus, che ha fatto irruzione in maniera improvvisa nelle nostre vite, “ha messo in luce le nostre false sicurezze” e la nostra “incapacità di vivere insieme”, denuncia Francesco sulla scorta del suo magistero durante la pandemia: “Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare”, l’appello per il dopo-Covid: “Che non ci dimentichiamo degli anziani morti per mancanza di respiratori. Che un così grande dolore non sia inutile. Che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri”. “Siamo più soli che mai”, la constatazione di partenza.

La “cultura dello scarto” è stigmatizzata ancora una volta dal Papa: Vittime, in particolare, le donne, che con crimini come la tratta – insieme ai bambini – vengono “private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”. “La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità”,

il rimprovero al mondo della comunicazione in rete, dove pullulano “forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro”. I circuiti chiusi delle piattaforme, in cui ci si incontra solo tra simili con la logica dei like, “facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio”.

Arrivare ad “una governance globale per le migrazioni”. È l’auspicio del quarto capitolo, dedicato interamente alla questione dei migranti, da “accogliere, promuovere, proteggere e integrare”, ribadisce Francesco. “Piena cittadinanza” e rinuncia “all’uso discriminatorio del termine minoranze”, l’indicazione per chi è arrivato già da tempo ed inserito nel tessuto sociale. “La vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana.

Una cosa è essere a fianco del proprio “popolo” per interpretarne il “sentire”, un’altra cosa è il “populismo”. Nel quinto capitolo, dedicato alla politica, il Papa stigmatizza l’”insano populismo” che consiste “nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere”. No, allora, al “populismo irresponsabile”, ma anche all’accusa di populismo “verso tutti coloro che difendono i diritti dei più deboli della società”.

“La politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico”, ammonisce Francesco tracciando l’identikit del “buon politico”, le cui “maggiori preoccupazioni non dovrebbero essere quelle causate da una caduta nelle inchieste”: “E quando una determinata politica semina l’odio e la paura verso altre nazioni in nome del bene del proprio Paese, bisogna preoccuparsi, reagire in tempo e correggere immediatamente la rotta”.

“Il mercato da solo non risolve tutto”, mette in guardia Francesco, che chiede di ascoltare i movimenti popolari e auspica una riforma dell’Onu, per evitare che sia delegittimato. “Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati”. Ne è convinto il Papa, che puntualizza: “Ciò che chiamiamo ‘verità’ non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo”, e nemmeno semplice “consenso tra i vari popoli, ugualmente manipolabile”. Oggi, ad un “individualismo indifferente e spietato” e al “relativismo” – la tesi di Francesco – “si somma il rischio che il potente o il più abile riesca a imporre una presunta verità”.

“La Shoah non va dimenticata”. “Mai più la guerra”, mai più bombardamenti a Hiroshima e Nagasaki, “no” alla pena di morte. Bergoglio lo ripete, nella parte finale dell’enciclica, in cui si sofferma sull’importanza della memoria e la necessità del perdono ed esortando alla gentilezza. Come San Francesco, ciascuno di noi deve riscoprire la capacità e la bellezza di chiamarsi “fratello” e “sorella”. Perché nessuno si salva da solo, come ha detto il 266° successore di Pietro il 27 marzo scorso, in una piazza San Pietro deserta e bagnata dalla pioggia.

 

 

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