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Afghanistan. Cristiani a Kabul, Alì Ehsani (esule): “Cerchiamo di portarli via sani e salvi”
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In Afghanistan, dopo la conquista di Kabul da parte delle milizie talebane, la popolazione è mossa dal disperato tentativo di fuggire dal Paese per i forti timori che il nuovo governo intenda attuare, come peraltro già successo nel 1996, la sharia, ossia la radicale legge islamica, con i conseguenti pericoli di persecuzione per le donne e la popolazione cristiana.
L’esule Ali Ehsani, cristiano cattolico che da giorni vive con l’angoscia di chi ha già conosciuto lo stesso terrore che ora attanaglia gli uomini e le donne del suo Paese, in una intervista rilasciata al Sir, racconta quanto sia difficile vivere oggi in Afghanistan per chi professa la fede cristiana: “In questi giorni sono in contatto con una delle tante famiglie cristiane presenti a Kabul. Vivono nascoste e nella paura. Ieri sera ho parlato di nuovo con una dei cinque figli. Piangeva, da giorni non hanno cibo”.
“Non abbandonate il popolo afgano”. È l’appello dell’esule Ali Ehsani. Una famiglia conosciuta mesi fa ma che solo da poco tempo ha iniziato a fidarsi di Alì perché temevano fosse una spia. Desiderio di Ali sarebbe portarli via da quell’inferno e insieme ad essi tutti i cristiani che rischiano la vita a causa della presa del potere da parte del regime talebano.
Nelle sue parole anche il timore di aver “forse” contribuito all’arresto del papà: “Temo sia colpa mia perché nei giorni scorsi ho inviato loro la registrazione di una messa. Erano felici di poterla almeno ascoltare perché lì a Kabul non ci sono chiese. Forse qualcuno dei vicini potrebbe aver sentito e avvertito i talebani”.
Le speranze sono appese a un filo e alla possibilità di trarre in salvo i suoi amici. Da giorni infatti sta cercando di coinvolgere chiunque abbia la possibilità di fare qualcosa non solo per i cinque ragazzi e la loro madre ma per chiunque sia in grave pericolo e nella loro stessa situazione. Alì sa bene che dichiarare la propria fede non è facile, i pericoli sono tanti e non solo in terra afghana.
Anche in Italia infatti, con gli altri connazionali esuli come lui, ha presto capito che dichiarare la propria fede cristiana non era così scontato. “L’altro giorno ero a mensa con un ragazzo afgano e prima di mangiare mi sono fatto il segno della croce. Con stupore mi ha chiesto se ero cristiano e così ho scoperto che lo era anche lui”.
Nei centri di accoglienza dove ha trascorso l’adolescenza, spesso veniva in contatto con altri ragazzi che però, dopo aver scoperto la sua fede, non esitavano ad additarlo come un traditore. “I marocchini ad esempio non riuscivano a capire perché io, afgano, non ero musulmano come loro. Altri addirittura mi dissero che se fossimo stati in quel momento in Afghanistan non avrebbero esitato a spararmi”.
Su ciò che è avvenuto nel giro di poche settimane nel suo Paese, Ehsani non ha dubbi: “L’occidente e l’America non dovevano lasciare così l’Afghanistan. É come se avessero buttato inutilmente il sangue dei loro soldati in questi anni. Sarebbe stato uguale se non fossero andati venti anni fa”.
Oggi Ali Ehsani ha quasi 31 anni, vive a Roma dove studia alla Sapienza per conseguire il dottorato in Giurisprudenza. Il suo passato non è stato facile: entrambi i genitori uccisi dai talebani perché cristiani quando era piccolo nel ‘99. In viaggio, a soli otto anni, segue il fratello sedicenne che durante il tragitto muore. Superstite di un naufragio, Ehsani riesce a raggiungere l’Italia dove comincia un’altra vita. Una vita che però non è sfuggita all’editore Feltrinelli che a sua firma ha pubblicato due titoli. Nel primo ha raccolto la sua storia, dagli anni in Afghanistan fino all’arrivo in Italia, aggrappato ad un camion, nel 2003. Nel secondo ha aggiunto le vicende vissute nel nostro Paese e la sua fede.
“Quando ero piccolo chiedevo a mio padre perché non andavamo a pregare in moschea come gli altri. Lui mi rispondeva che non eravamo musulmani e allo stesso tempo mi invitava però a non dire a nessuno che noi eravamo cristiani. Non mi raccontava molto la sua fede, aveva paura che ne parlassi con altri. Ricordo però che mia madre apparecchiava mettendo sempre un coperto in più: era il posto riservato a Gesù. Da bambino mi chiedevo cosa gli avremmo dato da mangiare, visto che neanche noi ne avevamo, ma i miei rispondevano che invece sarebbe stato proprio Gesù a portarci il cibo. E poi c’era una cosa della quale mi stupivo, mi chiedevo perché mio padre perdonasse sempre tutti quelli con i quali litigava”.
“In questi ultimi venti anni, nonostante i talebani non fossero al potere, essere cristiani in Afghanistan è stato sempre pericoloso. Una volta, presentando i miei libri, ho incontrato delle suore missionarie in Afghanistan. Mi raccontarono dei loro incontri con la popolazione: Mi dissero che negli occhi di quella gente vedevano spesso la speranza e insieme la paura di essere scoperti e individuati come cristiani”.
Ora un po’ di quel dramma riaffiora con le vicende che in questi giorno stanno scuotendo il suo Paese. “Capisco il dolore dei miei connazionali e chiedo di fare qualcosa a chiunque ne abbia la possibilità. Quello che il mio popolo sta vivendo è un orrore”.
Redazione da Ag. di inf.