MESSINA – Interessanti considerazioni su identità e luoghi-simbolo delle città postmoderne (di Giuseppe Ruggeri)
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Le città vanno assumendo sempre più aspetti di piatta e anonima uniformità, a discapito della loro identità
La fisionomia delle città moderne assume sempre più le linee di una ‘globalizzazione’ che omologa ogni tratto distintivo finendo per offrire, nel complesso, un’immagine di piatta e anonima uniformità. Un processo già etichettato da Pier Paolo Pasolini come “frantumazione delle comunità” e che Italo Calvino, nel suo romanzo “Le città invisibili”, perspicacemente in buona parte antivedeva.
Ma per quale motivo le città, questi contenitori apparentemente freddi e impersonali, dovrebbero svolgere un ruolo di aggregazione delle diverse identità che in sé racchiudono? Cos’è che accomuna vie, slarghi, piazze, con il patrimonio umano e culturale dei singoli, sì da rappresentare, alla lunga, l’ideale punto di raccolta delle loro storie, dei loro sogni, delle loro speranze? Cos’è che trasforma quelli che acutamente Marc Augé definisce i “non-luoghi” delle città moderne – intendendo con essi tutti quegli spazi urbani perfettamente assimilabili a una città come a un’altra – in elementi vivi e pulsanti in grado di suscitare il cosiddetto senso d’appartenenza?
Per poter rispondere a questa domanda, bisogna pensare al valore simbolico delle città, la funzione che esse hanno sempre svolto nel corso del tempo e particolarmente al giorno d’oggi, quando, assai più che in passato, si assiste al declino progressivo dello spirito collettivo dei nuclei abitati. La presunzione di un immenso e comune ‘villaggio globale’ dove le identità finiscono, inevitabilmente, per annullarsi, ha gradualmente sovvertito quello che era il senso vero delle città: esprimere una presenza, dei caratteri specifici capaci di contraddistinguere l’una rispetto all’altra, e ciò non per sterili motivi campanilistici ma piuttosto per l’esigenza di esprimere al mondo peculiarità proprie e inconfondibili. Una necessità correlata all’identità – in questo caso collettiva – che ha bisogno di rivelarsi attraverso precisi riferimenti fisici espressi, nella loro complessività, dalla planimetria urbana.
La planimetria urbana è lo specchio della città, la trama attraverso la quale la sua identità si manifesta e trova compimento in uno sforzo espressivo che attinge a radici specifiche e profonde. E’ per questo che chi la concepisce e successivamente la realizza, ne immagina ab initio le coordinate attraverso un processo dinamico che ha avuto origine millenni prima e che si continua, idealmente, nel disegno di un corpo esteso nello spazio e nel tempo come una linea retta. Una linea retta costituita da tanti piccoli segmenti che via via si uniscono trovando corrispondenza materiale nelle stratificazioni geologiche dalle quali è costituita la città che sorge costantemente su se stessa, risorgendo come l’araba fenice dalle proprie ceneri. Perché è sempre la stessa città che si sviluppa da una base che s’allarga acquistando spessore e significato. La città è un conglomerato d’idee, di personalità, d’identità singole che vi ritrovano punti comuni di riferimento, definiti obiettivi da perseguire.
Fuori dalla logica del ‘villaggio globale’, dunque, e all’interno, invece, di questa ricostituzione che attinge al passato affacciandosi verso il futuro, lo spirito comune urbano deve recuperare i luoghi-simbolo che fanno della città un contenitore virtuoso, un crogiuolo ideale dove far confluire le differenti componenti dell’identità collettiva. Cos’è un luogo-simbolo? Un aspetto specifico del tessuto urbano – una piazza, una via, un palazzo, una statua – in grado di rievocare memorie e stimolare progetti. Un punto aggregativo che svolga la funzione di agorà capace com’è di riunire più individui suscitando il confronto su uno, più temi dei quali si possa prospettare una serie di possibili soluzioni.
Nell’antichità questo avveniva regolarmente e succede a tutt’oggi nei piccoli centri, dove l’identità collettiva è ancora viva e non si è ancora abdicato a riti come la passeggiata domenicale sulla via principale e la discussione serale nei bar, magari accompagnata dalla classica partita a carte. Non così si può dire per le grandi città che hanno sempre più smarrito, negli anni, l’ubi consistam identitario, i segni e i tratti distintivi di quella peculiarità che le rendeva uniche rendendole autentici pezzi di storia della cultura di ogni epoca.
Giuseppe Ruggeri