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Beatificazione Ulma, Semeraro: “comune testimonianza data a Cristo fino al martirio”
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La beatificazione della famiglia Ulma è un fatto eccezionale. E’ la prima volta infatti che vengono beatificati insieme tutti i componenti di una famiglia. Gli Ulma sono martiri per aver ospitato appartenenti al popolo dell’Alleanza. Sapevano che sarebbero potuti morire, ma non hanno esitato a comportarsi come il Buon Samaritano. E il fatto che la beatificazione ricordi anche le famiglie ebree uccise con loro rappresenta, forse più di ogni cosa, il legame profondo tra il Popolo dell’Alleanza e i cristiani. (Acistampa)
Infatti, ci sono anche i rappresentanti della comunità ebraica alla beatificazione, incluso il Rabbino Capo di Polonia. Sono arrivate circa 30 mila persone, da Polonia, Germania, Ucraina, anche Bielorussia, a piedi da ogni dove, con i bambini, nella grande spianata dietro il cimitero di Markowa, che a sua volta si trova a pochi passi dalla parrocchia di Santa Dorotea. Costruita negli anni Dieci del secolo scorso, la parrocchia è stata testimone della vita degli Ulma, attivi in parrocchia, vicini ai poveri.
Nel cimitero c’è la tomba degli Ulma. C’erano quattro bare, i bambini messi a due a due, i genitori in una ciascuno, quando i corpi furono recuperati di nascosto e in fretta dopo che, quella terribile notte tra il 23 e il 24 marzo 1944, erano stati uccisi da un commando tedesco insieme alle due famiglie ebree che nascondevano. “Uccidete anche i bambini”, era stato l’ordine, tremendo, arrivato dai tedeschi. Uccisero anche il bambino che Wiktoria portava in grembo, in stato avanzato di gravidanza, la cui testa si trovò parzialmente uscita dal corpo della madre quando questo fu recuperato. Non sappiamo per quanto abbia visto la luce. Ma anche lui è beato.
Il Cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, celebra sull’altare. Se si sporgesse, vedrebbe le case con il tetto di paglia del vecchio villaggio di Markowa, conservate per non dimenticare. In quelle case, altri ebrei venivano nascosti, in locali segreti dietro la paglia in attici caldissimi di estate e freddissimi di inverno. Tutti, a Markowa, sapevano. Eppure, c’era solidarietà, nonostante il pericolo della guerra e dell’occupazione nazista. Dei 120 ebrei di Markowa sopravvissuti dopo la guerra, ben 21 erano stati salvati dalle famiglie del posto.
Il Cardinale Semeraro sottolinea: “Sarebbe fuorviante se il giorno della beatificazione della famiglia Ulma servisse solo a riportare alla memoria il terrore per le atrocità perpetrate dai loro carnefici. Vogliamo invece che oggi sia un giorno di gioia, perché la pagina del Vangelo scritta sulla carta è divenuta per noi una realtà vissuta, che luminosamente risplende nella testimonianza cristiana dei coniugi Ulma e nel martirio dei nuovi Beati”.
Ricostruisce il Cardinale: “Nel 1942 Józef e Wiktoria Ulma aprirono le porte della loro casa e diedero accoglienza a otto ebrei, perseguitati dal regime del nazismo tedesco. Oggi, insieme ai nuovi Beati, vogliamo ricordare anche i loro nomi. Si è trattato di Saul Goldman con i loro figli Baruch, Mechel, Joachim e Mojżesz nonché di Gołda Grünfeld e Lea Didner insieme con la piccola figlia Reszla”. Ma perché avevano deciso di ospitare queste famiglie? Perché Jozéf era “onesto, laborioso e desideroso di mettersi a disposizione degli altri”, l’altra “cordiale, mite, sensibile alle necessità altrui”, cresciuti in un amore di Dio che trasmettevano ai figli, unendo la famiglia non solo “per i legami di sangue”, ma anche dalla “comune testimonianza data a Cristo fino al dono della propria vita”.
Il cardinale Semeraro spiega che il tema dell’accoglienza spiega la beatificazione degli Ulma. La famiglia Ulma, sottolinea, ci insegna ad accogliere la parola di Dio, che leggevano ogni giorno sulla loro Bibbia consumata, e che vivevano nella liturgia domenicale. Una vita cristiana, di “santità della porta accanto”, come direbbe Papa Francesco. Era una famiglia aperta alla vita, e non si può non ricordare “la piccola creatura che Wiktoria portava in grembo e che veniva alla luce nel travaglio della carneficina della madre”, un beato senza nome, la cui “voce innocente che vuole scuotere le coscienze di una società dove dilaga l’aborto, l’eutanasia e il disprezzo della vita vista come un peso e non come un dono”.
Quindi, il tema dell’accoglienza dell’altro, specie chi è più bisognoso, perché “l’accoglienza è espressione di fraternità”. Il Cardinale Semeraro nota che “questa riunione di famiglie ebree e una famiglia cattolica nello stesso martirio ha un significato molto profondo e offre la luce più bella sull’amicizia ebraico-cristiana, a livello sia umano, sia religioso”, perché “l’odio dei persecutori per gli ebrei era, al suo livello più profondo, l’odio per il Dio dell’Alleanza, l’Antica e la Nuova nel sangue di Cristo”. Leggi l’articolo “Un compito – aggiunge Semeraro – quanto mai urgente a motivo delle violenze e delle devastazioni causate dalla guerra.
L’invasione russa dell’Ucraina, per la quale si combatte ormai da 18 mesi, ha spinto alla fuga un grande numero di profughi, che hanno bussato alle porte della Polonia in cerca di un rifugio sicuro”. Il cardinale non può non menzionare il lavoro di accoglienza fatto proprio in questa zona della Polonia, a 50 chilometri dal confine con l’Ucraina, fatto non solo dalle amministrazioni locali, ma anche dalle famiglie che hanno aperto le loro case. In tutti noi, invece, oggi qui presenti, la testimonianza martiriale della famiglia Ulma susciti il desiderio sincero di professare e vivere con coraggio la nostra fede”.
Redazione da Ag. di inf.