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Gaza. Nella parrocchia latina “dove il buio della notte non arriva mai”
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Nell’area della parrocchia latina della Sacra Famiglia, dove sono ospitati oltre 700 sfollati cristiani, praticamente la gran parte della comunità cristiana gazawa, i cristiani locali hanno trasformato la parrocchia in un presidio di preghiera continua. Dal 7 ottobre, quando è scoppiata “questa maledetta guerra – dice al Sir suor Nabila Saleh – quasi tutti i cristiani di Gaza, poco più di 1.000 persone, hanno avuto la casa danneggiata o distrutta e oggi hanno solo la parrocchia dove poter stare e vivere con un minimo di dignità.
“L’alba a Gaza arriva prima che altrove” perché, dicono gli sfollati cristiani nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, “qui non scende mai il buio della notte. Il frastuono e i bagliori delle bombe e dei proiettili, il sibilo dei razzi, i fuochi delle esplosioni, infatti, illuminano ogni momento della notte, fanno paura e ci non ci danno un attimo di tregua”. Sono tanti i fedeli che hanno scelto di dormire dentro la chiesa perché, spiega la religiosa della congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme, “hanno paura di trascorrere la notte nelle strutture parrocchiali contigue alle strade e quindi più esposte alle bombe.
Se dobbiamo morire preferiamo farlo stando il più vicino possibile a Gesù, vicino all’altare. Da qui non ce ne andiamo, questa è la nostra casa e qui rimaniamo”.
Il passaggio dal materasso al banco della chiesa per i tanti bambini che affollano la parrocchia è diventato quasi un gioco. Molti restano in pigiama per partecipare alla messa, poi un po’ di colazione e via di corsa a giocare, in cortile se le condizioni di sicurezza lo permettono, o in qualche sala interna. “Cerchiamo di animare la loro giornata – racconta madre Maria del Pilar, dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive), missionaria a Gaza – di regalare scampoli di normalità e magari anche suscitare un sorriso.
Papa Francesco nelle sue telefonate quotidiane ci dice sempre di “custodire e proteggere i più piccoli”. Piccoli come Elì. La sua storia è quella di tanti bambini della Striscia, sottolinea suor Nabila: “Elì era con la sua famiglia nel centro culturale ortodosso bombardato da Israele. È stato tratto in salvo dalle macerie e adesso vive qui in parrocchia con i genitori e i fratelli. Ogni volta che sente gli aerei e le bombe si porta le mani sulla testa e urla: ‘Adesso moriamo, adesso moriamo’. Allora si rifugia in chiesa e per tranquillizzarsi comincia a recitare il rosario”.
Le giornate trascorrono lente mentre le notizie di ciò che accade all’esterno si rincorrono senza sosta suscitando ancora più timori per il futuro. Donne e uomini si danno da fare per preparare i pasti, per tenere puliti e in ordine gli ambienti di vita comune, per mantenere efficiente la macchina della solidarietà che non lascia indietro nessuno. Acqua, cibo, carburante sono attentamente razionati. Acquistarli, infatti, vuole dire un enorme esborso di denaro. “Alcuni prodotti ormai si trovano solo al mercato nero e a prezzi triplicati. Ma la Provvidenza non ci ha mai abbandonato”, afferma suor Nabila.
Ciò che manca spesso, dicono dalla parrocchia, è “la connessione internet. L’esercito di Israele oscura le comunicazioni ed è impossibile parlare con amici e familiari. Sapere come stanno e dove si trovano è importante per mantenere i legami tra di noi, soprattutto adesso che metà della popolazione è stata costretta da Israele a evacuare verso sud dove però ci sono sempre scontri.
A Gaza nessun posto è sicuro. Questo non è umano. Mi chiedo dove siano finiti tutti quei governi, specialmente europei, che si dicono difensori dei diritti umani. Nessuno dice nulla, nessuno parla di questa ingiustizia! E la gente innocente muore. Qui manca tutto, cibo, acqua, medicine. Nei negozi rimasti aperti la merce scarseggia. Quanto potremo resistere? Siamo stanchi. Ogni giorno a Gaza si muore di paura e per le armi”. “dal compound non esce praticamente nessuno poiché è molto pericoloso – dice George Anton, direttore amministrativo di Caritas Jerusalem a Gaza –. Usciamo solo per esigenze improrogabili, come visite mediche particolari o per trovare cibo, medicine, acqua di cui abbiamo effettivo bisogno”. E ribadisce: “Nonostante ci manchi tutto, nonostante le notti orribili e insonni, i giorni devastanti che stiamo vivendo, siamo rimasti, non ce ne siamo andati e non lo faremo. Anche a costo della vita”.
Ci troviamo in mezzo a due fuochi. Nessuno sa cosa può davvero accadere da un momento all’altro”. il grande portone carrabile della parrocchia è praticamente sempre chiuso mentre “sempre aperto” è quello della chiesa perché la gente possa accorrere quando sente i bombardamenti. La vita all’interno della parrocchia è scandita dalla preghiera, due messe, una al mattino e una alla sera, nel pomeriggio la recita del rosario. L’intenzione è sempre e solo una: “Perché la guerra finisca”. L’unica arma che abbiamo per difenderci è la preghiera, che ci dona la ‘luce’ per guardare avanti con fiducia”.
Redazione da Ag. di inf.