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Giorno del Ricordo, le tragiche pagine di storia da non dimenticare
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Oggi, sabato 10 febbraio, si celebra il Giorno del Ricordo, dedicata agli italiani uccisi dai partigiani di Tito nelle foibe istriane, e l’esodo dei connazionali residenti istriani, giuliani e dalmati scacciati dalla pulizia etnica attuata dagli slavi di quelle zone.
Questo l’intervento, dal Quirinale, – di cui pubblichiamo le parti essenziali – del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della Celebrazione del “Giorno del Ricordo”.
== Sono passati quasi ottant’anni dai terribili avvenimenti che investirono le zone del confine orientale e venti anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, deliberata dal Parlamento a larghissima maggioranza. Giorno dedicato alla tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.
Lungo tempo è trascorso da quegli eventi ma essi sono emotivamente a noi vicini: questo consente di stabilire dei punti fermi e di delineare alcune prospettive.
In quelle martoriate ma vivacissime terre di confine, che da secoli ospitavano popoli, lingue, culture, alternando fecondi periodi di convivenza a momenti di contrasto e di scontri, il secolo scorso ha riservato la tragica e peculiare sorte di vedere affiancati, a pochi chilometri di distanza – in una lugubre geografia dell’orrore – due simboli della catastrofe dei totalitarismi, del razzismo e del fanatismo ideologico e nazionalista: la Risiera di San Sabba, campo di concentramento e di sterminio nazista, e la Foiba di Basovizza, uno dei luoghi dove si esercitò la ferocia titina contro la comunità italiana.
Quel territorio, intriso di storie e di civiltà, condivise lo stesso tragico destino di molti Paesi dell’Europa centro-orientale, che – dopo la sconfitta del nazifascismo – si videro negate le aspirazioni alla libertà, alla democrazia e all’autodeterminazione a causa dell’instaurazione della dittatura comunista, imposta dall’Unione Sovietica. Milioni di persone, in qui Paesi, si videro allora espulse dalla terra che avevano abitato, costrette a mettersi in cammino alla ricerca di una nuova patria.
Un muro di silenzio e di oblio – un misto di imbarazzo, di opportunismo politico e talvolta di grave superficialità – si formò intorno alle terribili sofferenze di migliaia di italiani, massacrati nelle foibe o inghiottiti nei campi di concentramento, sospinti in massa ad abbandonare le loro case, i loro averi, i loro ricordi, le loro speranze, le terre dove avevano vissuto, di fronte alla minaccia dell’imprigionamento se non dell’eliminazione fisica.
Il nostro Paese, per responsabilità del fascismo, aveva contribuito a scatenare una guerra mondiale devastante e fratricida; e fu grazie anche al contributo dei civili e dei militari alla lotta di Liberazione e all’autorevolezza della nuova dirigenza democratica, che all’Italia fu risparmiata la sorte dell’alleato tedesco, il cui territorio e la cui popolazione vennero drammaticamente divisi in due. Questo, tuttavia, non evitò che le istanze legittime di tutela della popolazione italiana residente nelle zone del confine orientale fossero osteggiate, frustrate e negate. Il nuovo assetto internazionale, venutosi a creare secondo la logica di Yalta, fece sì che passassero in secondo piano le sofferenze degli italiani d’Istria, di Dalmazia e di Fiume.
Furono loro a pagare il prezzo più alto delle conseguenze seguite alla guerra sciaguratamente scatenata con le condizioni del Trattato di pace che ne derivò. Dopo aver patito le violenze subite all’arrivo del regime di Tito, quei nostri concittadini, dopo aver abbandonato tutto, provarono sulla propria sorte la triste condizione di sentirsi esuli nella propria Patria. Le loro sofferenze non furono, per un lungo periodo, riconosciute. Un inaccettabile stravolgimento della verità che spingeva a trasformare tutte le vittime di quelle stragi e i profughi dell’esodo forzato, in colpevoli – accusati indistintamente di complicità e connivenze con la dittatura – e a rimuovere, fin quasi a espellerla, la drammatica vicenda di quegli italiani dal tessuto e dalla storia nazionale.
La ferocia che si scatenò contro gli italiani in quelle zone non può essere derubricata sotto la voce di atti, comunque ignobili, di vendetta o sommaria giustizia contro i fascisti occupanti; il cui dominio era stato – sappiamo – intollerante e crudele per le popolazioni slave, le cui istanze autonomistiche e di tutela linguistica e culturale erano state per lunghi anni negate e represse.
Le sparizioni nelle foibe o dopo l’internamento nei campi di prigionia, le uccisioni, le torture commesse contro gli italiani in quelle zone, infatti, colpirono funzionari e militari, sacerdoti, intellettuali, impiegati e semplici cittadini che non avevano nulla da spartire con la dittatura di Mussolini. E persino partigiani e antifascisti, la cui unica colpa era quella di essere italiani, di battersi o anche soltanto di aspirare a un futuro di democrazia e di libertà per loro e i loro figli, di ostacolare l’annessione di quei territori sotto la dittatura comunista. ==
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Quando si parla di foibe si fa riferimento ai tanti italiani torturati, uccisi e poi gettati, spesso ancora vivi, nelle grandi caverne verticali tipiche della regione carsica del Friuli Venezia Giulia e dell’Istria chiamate appunto foibe.
I massacri delle foibe iniziarono dopo l’8 marzo 1943 in seguito al crollo del regime fascista, quando nei territori dell’Istria il potere venne assunto dal movimento di liberazione jugoslavo. Obiettivo delle retate erano tutti coloro che non accettavano l’egemonia iugoslava. Per questo ad essere perseguitati furono anche i combattenti delle formazioni partigiane italiane.
Redazione