Intimidazioni ai sacerdoti. Don Patriciello: Se c’è comunione nell’annunciare il Vangelo, il pericolo per il singolo si riduce

Redazione1
di Redazione1 Marzo 5, 2024 00:24

Intimidazioni ai sacerdoti. Don Patriciello: Se c’è comunione nell’annunciare il Vangelo, il pericolo per il singolo si riduce

Gli atti intimidatori nei confronti di sacerdoti ultimamente si stanno moltiplicando in modo preoccupante. In Calabria è stata messa della candeggina nelle ampolline dell’acqua e del vino usate per celebrare l’Eucaristia. E addirittura è stato recapitato un bossolo di arma da fuoco diretto al vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, mons. Attilio Nostro. Ma sacerdoti che rischiano la vita per l’annuncio del Vangelo ce ne sono tanti. (Sir)

Tra gli altri don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo Apostolo a Caivano e da sempre impegnato sul fronte della lotta per la legalità: a marzo 2022, nella notte tra l’11 e il 12, poco prima delle 4, fu fatta esplodere una bomba carta davanti al cancello pedonale della parrocchia. L’11 marzo, tra l’altro, è il compleanno di don Maurizio, a cui è stato deciso di assegnare una scorta. Recentemente il sacerdote ha denunciato che su istigazione di camorristi ci sono state intimidazioni ai fedeli a non andare a messa o i bambini all’oratorio. Il fatto è legato alla grande tensione a Caivano per l’annuncio di sfratti delle abitazioni abusivamente occupate. Lo abbiamo sentito. Dunque, la constatazione che fa soffrire è che la prepotenza non vuol morire, e

La sofferenza non è tanto a livello personale, ma per il fatto che alcuni nel prendersi il diritto a essere persone libere, soprattutto se si tratta di sacerdoti, devono contrastare tutta questa prepotenza. Per fronteggiare le minacce adesso ci sono degli agenti che mi accompagnano sempre: è una grazia perché sono sempre in compagnia, ma può essere anche un limite. Ma se questo serve a stare più sereni, Dio sia benedetto.

Riguardo al fatto che le minacce si stanno moltiplicando a danno di sacerdoti, da un punto di vista squisitamente “nostro”, potrebbe essere una “buona notizia”: vuol dire che i sacerdoti fanno il loro dovere. Noi dobbiamo annunciare il Vangelo. Nell’annuncio del Vangelo è insita la denuncia del male. Il male se lo chiamiamo in modo generico non impressiona nessuno. Se lo chiamiamo con il nome specifico del male che stiamo combattendo – camorra, prepotenza, mafia, mala politica, corruzione – a quella parola esatta le persone si ribellano perché si sentono chiamate in causa. Per i miei confratelli calabresi il fatto che siano arrivati a mettere la candeggina nell’ampollina del vino da consacrare la dice lunga. Altre intimidazioni sono sempre le stesse: bruciano l’auto, mettono la bomba fuori al cancello della parrocchia per mettere a tacere. Ma chi può dire a noi sacerdoti di stare zitti non è ancora nato: solo Nostro Signore ci può dire di stare zitti o di parlare. È una battaglia ma se la combattiamo tutti quanti insieme diventa meno pericolosa per il singolo. La risposta nostra, può sembrare strano, è scritta nel Vangelo: mi riferisco alla preghiera sacerdotale, nel capitolo 17 di San Giovanni. Gesù pregando dice, all’incirca: “Padre, la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa”. Questo è molto importante: noi la chiamiamo comunione. E’ una forma di solidarietà che aiuta anche contro le mafie.

Quest’anno sono trent’anni dalla morte di don Peppino Diana. Nel nostro territorio il male si chiama camorra: Peppino Diana è stato ucciso a Casal di Principe, paese che dà il nome al clan dei casalesi. Don Peppino diceva degli abitanti onesti di Casal di principe: “Questa gente ha la sua dignità, ha la sua libertà, nessuno si deve permettere di mettergli i piedi sopra”, e qualcuno si è dispiaciuto. E sono successe le solite cose: prima le intimidazioni, qualche “consiglio” giunto attraverso un giro di persone, e poi l’orrenda conclusione con l’omicidio.

Ma se è un intero presbiterio ad annunciare il Vangelo allo stesso modo, a denunciare allo stesso modo, per il singolo ci sarebbero meno pericoli.

Io sono stato uno dei primi ad arrivare sul luogo dove don Peppino è stato ucciso, quando sono arrivato in chiesa Peppino stava ancora là, riverso nel suo sangue, è stata un’esperienza terribile che non ho dimenticato mai, però mi sono fatto la domanda allora e me la faccio adesso, dopo trent’anni: perché a don Peppino sì e a me no? Per quale motivo? Quando sono stato a Brancaccio, a Palermo, a celebrare la messa nella sala da pranzo di don Pino Puglisi, mi sono fatto la stessa domanda: perché a don Pino Puglisi sì e a me no? Questa domanda ce la dobbiamo fare tutti i preti di una regione, di una diocesi: perché? Forse, li abbiamo lasciati troppo soli? Ne abbiamo fatto un bersaglio facile? Sono domande scomode, che potrebbero dare fastidio a qualcuno, ma sono domande che dobbiamo farci tutti quanti.

A Caivano, l’altro sabato, hanno fatto di tutto perché la gente non arrivasse in chiesa e perché io non celebrassi la messa, io l’ho celebrata lo stesso, c’era poca gente, ma qualcuno è riuscito a passare. Ci sono state 250 ingiunzioni di sgombero degli appartamenti che sono stati occupati illegalmente. Io sto facendo di tutto per stare accanto a loro e per dire come stanno le cose, ma quegli appartamenti sono stati occupati illegalmente, questo è stato possibile perché lo Stato non ha fatto il suo dovere, perché il comune è stato latitante, perché ci sono stati peccati di omissione, però tra questa gente ci sono anche famiglie di camorra, che hanno tutto l’interesse a fomentare la rivolta. Soprattutto donne di queste famiglie hanno iniziato a dire: la messa non si celebra e hanno impedito alle persone di venire in chiesa, io ho celebrato ugualmente, hanno minacciato di farlo di nuovo. Le forze dell’ordine sono state subito avvisate, il prefetto si è messo subito in allerta, le messe sono state celebrate e loro hanno di nuovo minacciato di impedire ai bambini di venire al catechismo.

Io sto dalla parte della legalità e del popolo, ma le situazioni sono diverse, la storia è complessa e non può non generare paura. Se però avere paura significa più attenzione, più prudenza  la paura sia benedetta; se la paura paralizza, non mi fa andare avanti, se mi toglie qualcosa è sbagliata. Ci sono i rischi: ma l’anno scorso sui luoghi di lavoro sono morte mille persone. Se volessimo considerare la mia vocazione come un “lavoro” anch’io corro rischi. Certo io vorrei morire a cento anni con la corona in mano, con il crocifisso sul petto, ma poi sarà quello che Dio vorrà.

 

 

 

 

Redazione da Ag. di inf.

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