Pasqua in Terra Santa. Card. Pizzaballa: “Celebrare il passaggio dalla morte alla vita oggi è più necessario che mai ”

Redazione1
di Redazione1 Marzo 31, 2024 00:26

Pasqua in Terra Santa. Card. Pizzaballa: “Celebrare il passaggio dalla morte alla vita oggi è più necessario che mai ”

Alla vigilia della Pasqua che la comunità cristiana locale si appresta a vivere ‘sottotono’ a causa della sanguinosa guerra a Gaza, scoppiata dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre scorso di Hamas ad Israele, si leva l’appello del patriarca di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, ribadito anche nell’intervista rilasciata al Sir. “Invito i pellegrini a tornare in Terra Santa. Capisco che c’è paura, che le immagini che arrivano dai media spaventano, ma penso che oggi pellegrinare in Terra Santa sia possibile e che sarebbe una forma bella e concreta di aiuto alla Chiesa di Gerusalemme”.

Le stradine della città vecchia sono deserte, continua il cardinale Pizzaballa, non si vedono i numerosi gruppi di pellegrini che in questo periodo sono soliti affollare i luoghi santi della passione e il Santo Sepolcro. Le restrizioni imposte dalle autorità israeliane tengono lontani da Gerusalemme anche i cristiani della Cisgiordania. Pochi i visti concessi per venire a pregare in città.

Dopo sei mesi dallo scoppio della guerra che ha provocato sino ad ora decine di migliaia di morti e feriti, moltissimi dei quali sono bambini, interi quartieri di Gaza distrutti e 136 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, rimaniamo tutti impotenti di fronte a questa continua escalation di odio. Io credo che la leadership politica, e forse anche quella religiosa, debbano alzare la voce e soprattutto debbano avere il coraggio di guardare alla realtà del territorio che è drammatica. Solo così sarà possibile capire che continuare con queste azioni belliche vuole dire solo esasperare la situazione e non risolverla.

A Gaza è in atto un’emergenza umanitaria con la popolazione civile a rischio carestia. Ci sono bambini che stanno morendo di fame mentre i convogli umanitari restano fermi a Rafah, lato egiziano, in attesa di entrare. E’ quanto abbiamo ripetuto molte volte insieme alla richiesta di la prima cosa è il cessate il fuoco, necessario per riprendere le attività di aiuto umanitario che sono indispensabili la cui assenza sta portando a una situazione mai vista in precedenza. Non è la prima volta che abbiamo la guerra qui ma è la prima volta che vediamo la fame che non c’è mai stata in questo paese. Questo dice la drammaticità della situazione in atto.

Se la fame sia diventata uno strumento di guerra, e perché la comunità internazionale non riesce a fermare questa guerra, non so cosa  rispondere: sono situazioni complicate. Credo che le responsabilità siano diverse e tante, ma è fuori discussione che la situazione è intollerabile, inaccettabile. Tutti vogliono fare qualcosa ma è evidente che la comunità internazionale è impotente. Non puoi fare molto se gli attori locali non collaborano. Io penso che, al momento, questo sia il vero problema. Riguardo ad una possibile mediazione della Santa Sede in questo conflitto, di cui si è parlato, credo che La Chiesa non deve entrare troppo dentro le complesse questioni pratiche di mediazione. Certamente è coinvolta nel facilitare, nel rendere più accessibili e abbordabili, le relazioni tra le varie parti. Credo sia questo il nostro ruolo: cercare di mantenere il minimo di connessione, di comunicazione e di fiducia tra le parti.

Riguardo ai rapporti della Chiesa con i due belligeranti, in queste situazioni accade che si venga ‘arruolati’ dall’una o dall’altra parte, salvo poi essere criticati per qualche presa di posizione ritenuta non favorevole. In questo momento il rapporto tra leadership religiose e istituzionali vive una fase di attesa, di sospensione. Ci si incontra tra leader locali, in privato, per discutere, per parlare ma a livello istituzionale non c’è nulla. La tensione tra ebrei e musulmani resta altissima. E non si vede un negoziato all’orizzonte. Ora serve subito un cessate il fuoco.

Circa il quesito se dopo quanto accaduto la proposta ‘Due popoli, due Stati’ sia ancora valida e

praticabile, penso che questa soluzione non abbia alternativa. Anche se sulla possibilità che la società civile palestinese e israeliana possano arrivare alla convivenza e il dialogo, ora non ha senso parlarne. Siamo nella fase del dolore e della rabbia.

A Gaza resiste la piccola comunità cristiana, meno di 1000 fedeli tra ortodossi e cattolici, che ha trovato rifugio nella parrocchia latina della Sacra Famiglia e in quella greco ortodossa di san Porfirio…I cristiani di Gaza stanno dando una grande testimonianza di fede vissuta, di unità e soprattutto di grande fiducia che è una delle grandi assenti di questa guerra. Fiducia nell’opera della Chiesa e nell’aiuto reciproco. Si tratta di un piccolo gregge che soffre come tutti ma che non si arrende al disfattismo, alla frustrazione e all’odio. Papa Francesco è in contatto continuo con il vicario parrocchiale, padre Youssef Asaad, e mostra grande sensibilità verso il dolore di questa piccola comunità che vive dentro una ferita che tocca la vita di tutto il mondo.

Davanti a quanto sta accadendo in questa Terra, Pasqua ha sempre senso. La vocazione della chiesa di Gerusalemme, così come quella di tutte le chiese sparse nel mondo, è quella di vivere nella luce del Risorto nonostante tutto. Ma questa una Pasqua certamente difficile, di basso profilo, ci sono pochissimi pellegrini, o forse nessuno. Comunque facciamo la Pasqua perché vogliamo celebrare questo passaggio dalla morte alla vita. Oggi più necessario che mai.

 

 

 

 

Redazione da Ag. di inf.

 

 

 

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