La straordinaria parabola della vita di Bartolo Longo: da satanista a santo

Redazione1
di Redazione1 Marzo 1, 2025 22:53

La straordinaria parabola della vita di Bartolo Longo: da satanista a santo

La strada verso la canonizzazione del beato Bartolo Longo (1841-1926) è ormai spianata, grazie al via libera concesso da Papa Francesco, lunedì 24 febbraio, al Dicastero delle Cause dei Santi. Il cui sito ha dato informazione che nell’iter speciale, intrapreso per il fondatore del santuario della Madonna di Pompei, si è chiesta la dispensa dal riconoscimento formale del miracolo ordinariamente necessario per la canonizzazione, in ragione della continuità ed espansione del culto tributato al beato, dell’attestazione – in varie parti del mondo – di grazie e favori attribuiti alla sua intercessione e ancora per «la forza trainante del suo esempio». (La N.B.Q.)

Una forza trainante che si spiega con il profondo connubio – tipico dei santi – tra fede e opere di carità che il beato Bartolo Longo incarnò nella sua vita, nonché con la storia della sua straordinaria conversione. La quale è un serio promemoria del combattimento spirituale a cui partecipiamo quaggiù – spesso senza rendercene conto, anche perché immersi in società dimentiche di Dio – e da cui dipende il nostro destino eterno.

Nato il 10 febbraio 1841 a Latiano (provincia di Brindisi), Bartolo era stato educato nella fede cattolica. Ma negli anni degli studi in giurisprudenza a Napoli si era fatto traviare dal forte clima anticlericale e positivista dell’epoca, che era particolarmente diffuso in ambito universitario. Tra i prodotti di questo clima c’era un famoso saggio del filosofo francese Ernest Renan che negava la divinità di Gesù e ogni suo miracolo. Anche Bartolo lesse quell’opera, che contribuì ad allontanarlo dalla fede. Per circa cinque anni si fece coinvolgere in pratiche e incontri legati allo spiritismo e a un certo punto, per un anno e mezzo, fu addirittura “sacerdote” satanista.

Caduto in quell’abisso di peccato, interiormente devastato, Bartolo ebbe la forza di confidarsi con un suo devoto compaesano, il professor Vincenzo Pepe, che non solo lo ammonì fraternamente ma lo indirizzò a mettersi sotto la guida spirituale di padre Alberto Maria Radente (1817-1885), un domenicano. E da qui, provvidenzialmente, iniziò la rinascita spirituale di un uomo che è divenuto uno dei più grandi apostoli del Rosario nella storia della Chiesa, autore di libri e pratiche devozionali (dalla Novena alla Supplica alla Madonna di Pompei), fautore della moderna Pompei, sviluppatasi attorno al santuario da lui fondato, con opere sociali a favore di bambini, poveri ed emarginati che testimoniano la forza dirompente di ciò che significa mettersi alla sequela di Gesù e confidare nell’aiuto materno di Maria.

La rinascita e la scoperta della sua vocazione, da cui scaturirono le opere sopra accennate, chiaramente non avvennero dall’oggi al domani. Prima, furono necessari altri fondamentali incontri con anime che lavoravano per il regno di Dio. Grazie alla frequentazione dei circoli di spiritualità animati dalla napoletana santa Caterina Volpicelli (1839-1894), grande propagatrice del culto al Sacro Cuore, Bartolo conobbe la contessa Marianna Farnararo De Fusco (1836-1924), che dopo aver conosciuto le qualità umane del futuro santo, gli affidò l’amministrazione delle sue proprietà a Valle di Pompei.

E fu in quelle terre, un giorno d’ottobre del 1872, che avvenne la svolta definitiva nella vita di Bartolo. Era da anni che aveva abbandonato il satanismo, ma il suo animo era ancora tormentato dai suoi trascorsi, fino a spingerlo a volte quasi alla disperazione. Quando a un giorno, poco prima che le campane suonassero l’Angelus, quelle tenebre furono squarciate, come racconterà lui stesso: «Una voce amica pareva mi sussurrasse all’orecchio quelle parole che io stesso avevo letto e che di frequente mi ripeteva il santo padre Radente: Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». In quello stesso frangente Bartolo s’impegnò a propagar il Rosario e subito avvertì una grande pace interiore.

Da allora, aveva 31 anni, fu un crescendo di apostolato che ha trasformato, in meglio, il volto di Pompei e ne ha fatto un centro di irradiazione dell’amore di Gesù e Maria. Bartolo iniziò insegnando il catechismo ai contadini, colmandone le gravi lacune religiose. Poi, su invito del vescovo di Nola, diede avvio alla costruzione di una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario, la cui prima pietra fu posta nel 1876, l’8 maggio, che perciò è divenuto giorno di festa solenne. L’edificazione di quello che oggi è il pontificio santuario di Pompei fu possibile grazie a offerte provenienti da ogni parte del mondo. E il restauro di un’immagine della Beata Vergine del Rosario – tramite di miracoli fin dalla prima esposizione al culto pubblico, il 13 febbraio 1876 (vedi la guarigione improvvisa della dodicenne Clorinda Lucarelli) – ha contribuito ad alimentare la devozione.

Questo risveglio di fede, qui solo accennato, si è accompagnato a una grande attenzione al prossimo. Di qui la fondazione nel corso degli anni, dal 1886 in poi, di asili, oratori per il catechismo, case operaie e, ancora, un orfanotrofio femminile, due ospizi, uno per i figli e l’altro per le figlie dei carcerati. Ospizi nati dopo che gli stessi detenuti si erano rivolti al beato perché si prendesse cura della loro prole. Una sfida educativa praticamente impossibile per la scienza positivista dell’epoca, legata alle idee di Lombroso, per cui i figli di criminali avevano il destino segnato. Non così per il cattolicesimo. «Io non li guardo in faccia né sul cranio. Solamente mi accerto se sono reietti e innocenti abbandonati; li stringo al cuore e comincio a educarli», diceva il beato. Che non solo educava quei figli a vivere rettamente, ma anche ad essere strumento di salvezza eterna per i loro genitori.

All’origine di tanta carità c’era la fedeltà a quella promessa fatta a Maria Santissima, che invocava anche con il titolo di Corredentrice. La promessa di diffondere il suo Rosario, «torre di salvezza negli assalti dell’inferno», come recita il testo della famosa Supplica che lo stesso Bartolo Longo compose.

 

 

 

Redazione da s. di inf.

 

 

 

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