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Venerdì Santo. Pasolini: “la Croce, misterioso trionfo di Dio”
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Venerdì Santo, ossia la celebrazione della Passione del Signore. Momento importante per tutta la Chiesa. Simbolo di tutto ciò, la Celebrazione nella basilica di San Pietro, presieduta – delegato da Papa Francesco ancora convalescente dalla polmonite bilaterale che lo ha colpito nel febbraio scorso – dal Cardinale Claudio Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali. A tenere la predica, il padre francescano Roberto Pasolini, Predicatore della Casa Pontificia. (AciSt.)
“Ricordati, o Padre, della tua misericordia e santifica con eterna protezione i tuoi fedeli, per i quali Cristo, tuo Figlio, ha istituito nel suo sangue il mistero pasquale”, con queste parole (in latino) inizia la celebrazione, densa, silenziosa, mesta e solenne al contemporaneo. Le Letture: il Libro di Isaia (52, 13 – 53, 12); il salmo responsoriale (“In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; difendimi per la tua giustizia”, questi i primi versi); e in ultimo la Lettera agli Ebrei di San Paolo (4, 14-16; 5, 7-9). E poi, ecco, potente in tutto il suo stile e linguaggio il passo del Vangelo secondo Giovanni: la Passione di Cristo.
L’omelia è del Predicatore della Casa Pontificia, padre Pasolini, che sottolinea subito che: “al centro del Triduo Pasquale palpita un cuore, quello del Venerdì Santo. Tra il bianco della Cena del Signore e quello della sua Risurrezione, la liturgia interrompe la continuità cromatica tingendo di rosso tutti i paramenti e invitando i nostri sensi a sintonizzarsi sulle tonalità intense e drammatiche dell’amore più grande”.
La liturgia del Venerdì Santo, allora, “ci invita al silenzio e al raccoglimento, perché è il giorno in cui lo Sposo ci è tolto”, così Pasolini. Sottolinea poi il paradosso della Croce che non è “il fallimento di Dio, ma il suo misterioso trionfo”. Questo dato propone, allora, un particolare tipo di intelligenza, “l’intelligenza della Croce, che non calcola, ma ama; che non ottimizza, ma si dona. Un’intelligenza non artificiale, ma profondamente relazionale, perché interamente aperta a Dio e agli altri”.
Poi, lo sguardo si pone sul presente, o meglio sull’umano: “In che modo ascolta Dio le preghiere più sofferte e disperate? Se il Padre non ha risparmiato la morte al suo Figlio, come si comporterà con noi quando gli offriremo tutte le nostre lacrime? In realtà, sappiamo bene come il Padre ha scelto di esaudire la preghiera del Figlio: non gli ha evitato il supplizio della croce, ma gli ha permesso di diventare, proprio su quell’altare, il Salvatore del mondo”.
E per poter vivere la croce, ci dice Pasolini, c’è bisogno di un “pieno abbandono” con cui la lettera agli Ebrei descrive la condotta di Cristo che – secondo il Predicatore della Casa Pontificia – “potrebbe essere tradotta anche come la capacità di accogliere con fiducia ciò che accade, di prendere bene anche ciò che inizialmente appare ostile o incomprensibile”.
L’omelia continua soffermandosi su “tre momenti della Passione in cui è lo stesso Signore Gesù, attraverso le sue parole, a mostrarci come si possa vivere una piena fiducia in Dio senza smettere di essere protagonisti della propria storia”. La prima frase che il frate cappuccino sottolinea è «Sono io»: in quel “sono io” di risposta alle guardie del Getsemani, “Gesù si consegna e si lascia condurre via. È il modo con cui l’evangelista ci fa capire che Gesù non è stato semplicemente arrestato, ma ha offerto la sua vita liberamente, come aveva già annunciato”.
L’omelia si confronta con la vita di tutti i giorni: “Nei momenti in cui la nostra vita subisce qualche battuta d’arresto – un imprevisto doloroso, una grave malattia, una crisi nelle relazioni – anche noi possiamo provare ad abbandonarci a Dio con la stessa fiducia, accogliendo ciò che ci turba e ci appare minaccioso”. Così facendo, “il peso della vita si fa più leggero, e la sofferenza, pur restando reale, smette di essere inutile e inizia a generare vita”.
L’altra frase di Cristo, oggetto della meditazione di Pasolini, è «Ho sete»: “Gesù muore non prima di aver manifestato – senza alcuna vergogna – tutto il suo bisogno. Si congeda dalla storia compiendo uno dei gesti più umani e insieme più difficili: chiedere ciò che da soli non siamo in grado di darci. Il corpo di Cristo, spogliato di tutto, manifesta il bisogno più umano: quello di essere amato, accolto, ascoltato”. Il confronto, poi, con ognuno di noi: “Anche per noi, diventa possibile attraversare bene quegli istanti in cui emerge con chiarezza che non bastiamo a noi stessi”.
Redazione da Ag. di inf.