La morte del papa ci lascia il patrimonio di un prezioso “magistero dei gesti”: accoglienza verso i poveri, gli ultimi, e un’umanità universale   

Redazione1
di Redazione1 Aprile 21, 2025 21:33

La morte del papa ci lascia il patrimonio di un prezioso “magistero dei gesti”: accoglienza verso i poveri, gli ultimi, e un’umanità universale   

Non si contiene, straripa l’ondata di cordoglio per la morte di Papa Francesco. Da quando è stata diffusa, nella prima mattina di oggi, la notizia della sua morte, si sono accavallati telegrammi e comunicati dalle più svariate istituzioni ecclesiali e politiche italiane e internazionali. Fra i primi comunicati di cordoglio del mondo ecclesiale, quello della Presidenza della Cei: «È un momento doloroso e di grande sofferenza per tutta la Chiesa. Affidiamo all’abbraccio del Signore il nostro amato Papa Francesco, nella certezza, come lui stesso ci ha insegnato, che tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre”, così scrive in una nota il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della Cei che nel pomeriggio di oggi ha poi diffuso un video per esprimere il suo dolore per la perdita del Pontefice.

“L’aurora pasquale avvolge il passaggio del nostro vescovo Papa Francesco da questo mondo al Padre”: con queste parole il Cardinale Vicario per la Diocesi di Roma Baldo Reina ha commentato la morte di Papa Francesco, “testimone del Vangelo, pastore misericordioso, profesta di Pace”. E questa sera, alle 19,00, nella basilica di San Giovanni in Laterano, il Cardinale Reina, presiederà una celebrazione eucaristica in suffragio del Pontefice. Anche Assisi partecipa al dolore della perdita del Pontefice.

In una comunicazione del Sacro Convento di Assisi, Fra Marco Moroni, Custode del Sacro Convento, ha sottolineato: “I suoi gesti sono stati esemplificazione del Vangelo e questo, a mio parere, è l’aspetto più importante. Ha messo al centro l’annuncio evangelico attraverso una testimonianza di fede, attraverso tanti segni, tanti gesti, tante parole che ci hanno richiamato al cuore dell’esperienza cristiana”. Altro Santuario, Loreto: anche Monsignor Fabio Dal Cin, Arcivescovo di Loreto e Delegato Pontificio per il Santuario della Santa Casa di Loreto ha espresso tutto il suo cordoglio in una comunicazione: “Ho il cuore triste per la mancanza di Papa Francesco. Però ringrazio il Signore per il dono che lui è stato per la Chiesa e per il mondo intero”.  “Ti ho comandato: sii forte e coraggioso. Non temere e non spaventarti, perché è con te il Signore tuo Dio, dovunque tu vada”: con le parole del libro di Giosuè (1,9) il Patriarcato latino di Gerusalemme ha espresso le condoglianze per la morte di Papa Francesco.

E ancora: “Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, tutti i vescovi, il clero ei fedeli della Terra Santa, offrono le loro più sentite condoglianze all’intera Chiesa per la morte del Santo Padre, Papa Francesco. Possa il Signore accoglierlo nel suo regno e nella sua gloria”. E poi, Gaza. In un video per i Media Vaticani, Padre Gabriel Romanelli, Parroco della Chiesa della Sacra Famiglia, ha ricordato l’ultima telefonata del Pontefice sabato scorso: “Preghiamo perché uomini e donne di buona volontà nel mondo accolgano le sue continue e pressanti richieste di pace”.

Due delle tessere più tragiche – perché “la guerra è sempre una sconfitta” – di quel mosaico che Bergoglio ha ribattezzato “la terza guerra mondiale a pezzi”, stigmatizzandone i focolai in ogni parte del mondo, sono le immagini-simbolo di un pontificato segnato soprattutto dai gesti e dalle molte “prime volte” di un papa che, subito dopo l’elezione al soglio di Pietro, ha annunciato di voler compiere un cammino “vescovo-popolo”, chiedendo la benedizione del “santo popolo di Dio”, dal cui fiuto la Chiesa ha molto da imparare, secondo il primo papa nella storia ad aver osato di prendere il nome di Francesco, confessando per primi ai giornalisti, tre giorni dopo l’elezione, il suo sogno sul solco del poverello di Assisi: “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri”.

Quando Jorge Mario Bergoglio, la sera del 13 marzo 2013, si è affacciato alla Loggia delle Benedizioni in qualità di successore del primo papa dell’epoca moderna ad aver rinunciato al soglio di Pietro, tranne che per (pochi) addetti ai lavori non era nella lista dei candidati. Nei suoi dodici anni di pontificato, il Papa venuto dalla “fine del mondo”, come lui stesso si è definito, ci ha abituato alle sorprese di quello che, oltre che delle parole, è stato un magistero dei gesti. Caratterizzato dalla “rivoluzione della tenerezza” e da una parola – accoglienza – declinata a tutto tondo: verso i poveri e gli ultimi, verso i migranti, verso le famiglie e i giovani, verso i non credenti e i “fratelli” cristiani e delle altre religioni.

Fin da subito, Papa Francesco ha conquistato il favore della gente, che di lui ha subito detto “è uno di noi”: la sua empatia ha preso i colori della tenerezza, come nei lunghi giri di piazza prima delle udienze del mercoledì, o durante i viaggi apostolici, in cui perfino quando i problemi al ginocchio lo hanno costretto a servirsi della sedia a rotelle, o quando problemi di salute gli hanno impedito di compiere il tanto agognato viaggio a Dubai per la Cop28, il contatto ravvicinato con il suo popolo è stato sempre in grado di trasformarsi per lui in un vero e proprio elisir di vitalità, ricaricando appieno le sue energie per dare nuovo slancio a quella “Chiesa in uscita” verso le periferie geografiche ed esistenziali  auspicata come modello ecclesiale del presente e del futuro, sulla scia del Concilio e delle intuizioni profetiche di Paolo VI, il papa della sua formazione.

Pronto a compiere un tratto di strada insieme, fin dove si può, partendo dai legami di amicizia personali e dalla capacità di empatia e prossimità anche con chi non incrocia abitualmente i sentieri ecclesiali, come i non credenti. Perché “la Chiesa è Sinodo”, come ha mostrato lui stesso – con i due Sinodi sulla famiglia, quello sui giovani e quello sull’Amazzonia, fino al Sinodo sulla sinodalità, il primo convocato “dal basso” coinvolgendo anche i laici e le donne – chiedendo a tutta la comunità ecclesiale di assumere questo stile.

Sullo sfondo, apparentemente dietro le quinte ma in realtà motore della testimonianza personale del cristiano oltre che della storia – quella macro e quella micro – la misericordia del Buon Samaritano, che si china per versare olio su chi è ferito in vario modo dalla vita. Come i senzatetto, a cui il Papa ha dedicato un inedito appuntamento giubilare, istituendo la Giornata mondiale dei poveri, o i carcerati, che in una delle istantanee più memorabili del Giubileo del 2016 hanno riempito la basilica di San Pietro con una compostezza umile e fiera nello stesso tempo, più eloquente di tante parole. Perché la vita, la sua serietà e il suo peso specifico, si possono apprezzare solo con gli “occhiali” delle periferie, troppo spesso martoriate e dimenticate dalla “globalizzazione dell’indifferenza”.

 

 

 

Redazione da ss. di inf.

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