I giovani di Azione cattolica: così vegliamo il corpo di Papa Francesco nella Basilica Vaticana

Redazione1
di Redazione1 Aprile 25, 2025 23:37

I giovani di Azione cattolica: così vegliamo il corpo di Papa Francesco nella Basilica Vaticana

Ci sono gesti che superano il tempo, tradizioni che non si spiegano, si vivono. Una di queste è la veglia dei giovani di Azione Cattolica accanto al corpo del Santo Padre. Un gesto antico, nato nel 1878 con le esequie di Pio IX, e che ha attraversato le generazioni fino a giungere a noi, oggi, dinanzi alle spoglie di Papa Francesco.

Ho avuto l’onore, e soprattutto la grazia, di essere oggi tra questi giovani, dice Riccardo Savarè. Non è facile descrivere ciò che ho provato in quel momento. Si entra nella Basilica di San Pietro col cuore pesante e colmo allo stesso tempo. Pesante per la perdita di una guida che ha saputo parlare al mondo con la dolcezza del Vangelo; colmo per la consapevolezza di essere parte di qualcosa di più grande, di un popolo che si raccoglie per dire grazie, per pregare, per sperare.

In quel turbinio interiore, mentre lo sguardo correva al volto del Papa, sono riaffiorate dentro di me tante sue immagini e parole ascoltate negli anni. Ma c’è un discorso che ha bussato con forza e si è fatto strada nel mio cuore: quel discorso che Papa Francesco ci aveva rivolto un anno fa, il 25 aprile 2024, proprio a noi di AC, in occasione dell’incontro del Santo Padre con l’Azione Cattolica Italiana: A braccia aperte, quando ci parlò di tre abbracci: “l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva, l’abbraccio che cambia la vita”.

Mi è tornato in mente proprio perché, osservando la folla che lentamente sfilava davanti a lui, ho avuto l’impressione fortissima che tutti, ognuno a suo modo, fossero lì come per abbracciarlo. Con gli occhi, con le mani giunte, con il silenzio e la preghiera. Un abbraccio collettivo, silenzioso, immenso. Come se tutti sentissero il bisogno di ricambiare, una volta ancora, ciò che avevano ricevuto da lui.

L’abbraccio che manca. In quelle ore, tra le volte di San Pietro e lo sguardo commosso dei fedeli, ho percepito una sete profonda: quella di un’umanità che ha bisogno di essere accolta, non respinta. Papa Francesco ha dato voce a chi abbracci non ne riceve: i migranti lasciati ai confini del mondo, i poveri dimenticati nelle periferie, i detenuti confinati nel silenzio, le vittime delle guerre dimenticate dai telegiornali. La sua voce è stata per molti il primo abbraccio dopo l’indifferenza. E ora, mentre il suo corpo giace in silenzio, è come se tutti venissero a restituirglielo: un popolo intero che si stringe, che lo ringrazia, che lo abbraccia.

L’abbraccio che salva. Vegliando, ho pensato a tutte le volte in cui Papa Francesco ci ha fatto riscoprire il Vangelo come luogo di tenerezza, non di paura. Ci ha parlato, soprattutto a noi giovani, spingendoci a credere non per difenderci dal mondo, ma per trasformarlo. Ci ha insegnato che “Dio ci ama così come siamo”. E che la Chiesa è soprattutto questo: un luogo dove essere amati, dove poter tornare anche dopo essersi smarriti. Una casa fatta di volti, di storie, di lacrime e speranza. E in quell’abbraccio mi sono riscoperto figlio: parte di una comunità che non pretende la perfezione, ma accoglie con misericordia. Una casa che ha il sapore di un’appartenenza vera, che dà senso e respiro alla vita.

E infine, l’abbraccio che cambia la vita. Sì, perché Papa Francesco, con il suo modo di essere Papa, ha cambiato la mia vita. Mi ha mostrato che la fede non è un rifugio dove chiudersi, ma uno slancio verso gli altri. Che essere laico nella Chiesa non è stare ai margini, ma essere corresponsabile e protagonista. Che noi giovani non dobbiamo aspettare il nostro turno, ma prenderci la parola adesso, con coraggio. Se oggi credo in una Chiesa che cammina insieme, che ascolta e si lascia interrogare, che accoglie le domande più che temerle, è anche perché lui ci ha creduto. È perché ci ha invitati ad essere “atleti e portabandiera di sinodalità”, a costruire una comunità che non esclude, ma accompagna.

E così, caro Papa Francesco, ho avuto la grazia di vegliare su di te… ma so che in fondo, eri tu che continuavi a vegliare su di me, su di noi. Nei volti commossi dei giovani che hanno condiviso con me questa esperienza, nelle mani giunte, negli occhi lucidi, c’era un popolo che ti diceva grazie. Per lo sguardo che ci hai insegnato ad avere. Per la Chiesa che ci hai aiutato a sognare.

E allora sì, voglio continuare ad abbracciare. Abbracciare la Chiesa, con la sua bellezza e le sue ferite. Abbracciare il mondo, nei suoi dolori e nei suoi sogni. Abbracciare le domande, le attese, le fatiche. E abbracciare, ogni giorno, la possibilità di essere segno vivo di quella speranza che tu ci hai insegnato a portare.

Grazie Papa Francesco. Ora lasciati abbracciare da Colui che ti ha preceduto nell’amore.

A Dio, Papa Francesco.

 

 

Redazione da Ag. di inf.

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