MESSINA – Modernità “liquida” e paradosso cristiano
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La fondamentale contraddizione esistente tra il modello mondano della modernità tendente a flessibilità, instabilità e mutevolezza, rispetto a quello opposto, del cristianesimo, fondato su inflessibilità, regole e continuità.
La concomitanza di due eventi significativi, accaduti di recente, riferiti a due personaggi di spicco, tra loro però molto distanti e differenti, spingono a fare qualche riflessione sulla stridente contraddizione dei relativi modelli esistenziali, tra loro antitetici, che rappresentano. Contraddizione che inevitabilmente richiama uno dei principali paradossi cristiani, riferito alla concezione ribaltata di come si debba vivere la vita, rispetto al modello di esistenza mondano. Il primo evento riguarda la scomparsa di Zygmunt Bauman, il celebre sociologo e filosofo polacco teorizzatore della “modernità liquida”, o “fluida”, (secondo cui la nostra società, in questa fase storica, tende a virare rapidamente verso la velocità, la flessibilità e il cambiamento reiterato); l’altro è dato dalle solenni celebrazioni liturgiche di Eustochia Smeralda Calafato, nella ricorrenza del suo “Dies Natalis”: la clarissa che, più di 5 secoli fa, ha fondato il monastero di clausura di Montevergine tuttora attivo, espressione di un modello di vita totalmente opposto: stabile, inflessibile, “solido”e perenne.
Ora, nel prendere in considerazione queste due polarità comportamentali in forte contrapposizione tra loro, vediamo che possiamo confrontare queste due posizioni con la visione che ne dà lo stesso Bauman quando parla di “sicietà liquida” o “fluida” e “società solida”, di “flessibilità” e “inflessibilità”. Nella prima avviene una spiccata tendenza alla rincorsa che sembra sempre più velocemente lanciata verso il cambiamento, verso ciò che ora viene chiamato modernizzazione, ora progresso, ora miglioramento, ora sviluppo; un modello esistenziale, cioè, che è l’essenza del moderno modo di essere. Un modello di vita, però, che, a verificarne gli effetti, non sembra affatto dare segni di produrre reali benefici per il mondo di oggi, anzi tutt’altro.
Secondo questo modello di comportamento sociale, atteggiamenti come la preoccupazione per la coesione, l’adesione alle regole, il valutare sulla base delle premesse, il restare fedeli ad una promessa, ad una logica di continuità invece di fluttuare sull’onda di opportunità mutevoli e di breve durata, non sono opzioni allettanti. I progetti a cui giurare fedeltà per tutta la vita, una volta scelti e abbracciati per sempre, godono di cattiva reputazione, hanno perso la loro capacità attrattiva.
Ciò invece si verifica in modo ancor più radicale, dando luogo a scelte estreme definibili paradossali, nel modello di vita claustrale; certamente tra quelle che contrastano di più rispetto al modo di vivere del nostro mondo massmediatico e post moderno. Pertanto siamo di fronte a due polarità, due tendenze, che si fronteggiano da posizioni contrapposte: quella della flessibilità e quella della inflessibilità, del cambiamento e della stabilità; della fluida libertà di scelta variabile e quella della solida sicurezza di una scelta fatta per sempre. La prima, che possiamo ben identificare, come abbiamo detto, con la psicologia mondana (edonismo, narcisismo, apparire, ricerca di successo, potere e così via); la seconda, con la cosiddetta psicologia cristiana, espressa in particolar modo dal cattolicesimo, che, con le sue verità dogmatiche rivelate, rappresenta assai bene la condizione di inflessibilità dei suoi saldi principi.
Anche in questo secondo ambito, appartenente in particolar modo alla Chiesa Cattolica nel suo cammino terreno inteso alla evangelizzazione di tutti gli uomini, possiamo distinguere grosso modo due modelli operativi principali fra loro complementari: quello prevalentemente dedicato alla vita attiva di penetrazione sociale, e quello incentrato nella vita contemplativa e di preghiera, di cui i monasteri di clausura sono una testimonianza tra le più “solide”, inflessibili e rigorose e, per questo, preziose, ma al tempo stesso, per molti alquanto sconcertanti. Nell’ottica cristiana, dunque, queste monasteri clariani rappresentano veri e propri presidi a sostegno spirituale di tutti, attraverso l’impegno donativo della preghiera, della penitenza e del nascondimento nella povertà.
Ma guardando al cammino dei Cattolici nel mondo, non possiamo non riconoscere – per ammissione della stessa Chiesa – che gli effetti di questa trasformazione, tendente a dare eccessiva importanza alle esigenze di cambiamento, portano ad allentare gli schemi di stabilità che sono propri dell’impostazione di fedeltà alla propria identità. E sappiamo bene che la distanza di duemila anni dall’inizio del Cristianesimo non può non avere effetti tendenti a sbiadirne l’identità.
Ciò perché l’evolversi dei tempi e della cultura spingono ad adattare i propri principi alle esigenze del presente, col pericolo di modificare più del dovuto, alterandone l’essenza, ciò che caratterizza l’originaria fisionomia identitaria. E un tale pericolo non risparmia neppure la Chiesa cattolica che, pur nella sua compattezza istituzionale ancorata a un ben definito magistero gerarchico, ha subìto in passato molte deviazioni e fratture; e tuttora non può non dirsi a rischio di subirne altre.
Anastasio Majolino