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Sentenza suicidio assistito. Mons. Russo (Cei): “Qui si creano i presupposti per una cultura della morte”. I medici prendono le distanze
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La storica sentenza emessa dalla Consulta che stabilisce la non punibilità di chi agevola il suicidio nei casi come quello del dj Fabo, divide profondamente l’opinione pubblica e crea lo sconcerto della Conferenza episcopale italiana, il cui segretario mons. Russo afferma: “Qui si creano i presupposti per una cultura della morte, la società perde il lume della ragione”.
Da un comunicato diffuso si legge: “La Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Subito dopo,però, la Corte ha corretto la dizione ‘sofferenze fisiche “e” psicologiche’ in ‘sofferenze fisiche “o” psicologiche’.
Dunque “La decisione della Corte costituzionale, stabilendo che la non punibilità dell’aiuto al suicidio non riguardi soltanto le sofferenze fisiche ma anche le sole sofferenze psicologiche, ha ampliato le possibili letture interpretative delle richieste di aiuto al suicidio”. Lo ha dichiarato ieri Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita e prorettore dell’Università europea di Roma, nella sua relazione al convegno a Treviso, organizzato dall’Unione giuristi cattolici italiani e dalla Fondazione Luigi Stefanini presso il seminario vescovile. “Oltre a denotare superficialità nella stesura di un comunicato su cui si è concentrata e formata l’opinione pubblica sul tema – afferma Gambino – ora con il chiarimento della possibilità di chiedere l’esito finale anche in presenza di sole sofferenze psichiche, che è concetto drammaticamente scivoloso e incerto, occorrerà scongiurare che casi di depressione comportino possibilità di assistenza suicidiaria, come purtroppo avviene negli altri tre Paesi europei che hanno legiferato a proposito”.
“Saremo attenti e vigilanti a tutela della vita delle persone, soprattutto di chi si trova in situazioni di disagio, di difficoltà, di malattia”. Così mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, ha risposto ad una domanda di un giornalista in merito ad un possibile avvio di un iter parlamentare per una legge sul “fine vita”, dopo la sentenza della Consulta sul suicidio assistito. “È anomalo che un pronunciamento così forte e condizionante sul suicidio assistito arrivi prima che ci sia un passaggio parlamentare”, ha fatto notare il vescovo durante la conferenza stampa a chiusura del Consiglio permanente della Cei: “In Europa è la prima volta che accade”.
“Non comprendiamo come si possa parlare di libertà”, ha ribadito Russo entrando nel merito della sentenza: “Qui si creano i presupposti per una cultura della morte, in cui la società perde il lume della ragione”, ha proseguito “stiamo assistendo ad una deriva della società, dove il più debole viene indotto in uno stato di depressione e finisce per sentirsi inutile”. “Speriamo che ci siano dei paletti forti”.
Interpellato sulla possibilità che la sentenza della Consulta sul suicidio assistito crei una sorta di “frattura tra Stato e Chiesa”, riguardo ai temi del fine vita, Russo ha risposto: “È difficile parlare di una frattura. Siamo sempre stati attenti al dialogo”. Rispondendo ad una domanda su eventuali prossime mobilitazioni o iniziative della Chiesa italiana, il segretario generale della Cei ha affermato: “Agiremo per una prossimità a chi si trova in uno stato di indigenza legato alla salute, a coloro che si trovano in un percorso particolare della loro vita che li vede in situazioni difficili. Lo faremo in stile di confronto e di rispetto per le persone, e in uno spirito di dialogo costruttivo”.
Sì all’obiezione di coscienza. “Il medico esiste per curare le vite, non per interromperle”, le parole di Russo. “Chiediamo che ci possa essere questa possibilità”, l’appello a favore dell’obiezione di coscienza: “quando parliamo di libertà, ciò non può non avvenire”. “I medici sono per la vita, e non per intervenire sull’interruzione anticipata della vita delle persone”, ha ripetuto il vescovo ricordando che “il Codice deontologico dei medici non prevede questa possibilità”.
“È ora che il Parlamento calendarizzi in aula il dibattito”, ha detto ieri mattina in conferenza stampa Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione radicale Luca Coscioni. E Filomena Gallo, segretario dello stesso sodalizio: “Ora ha non soltanto una traccia, ma una base da cui non potrà discostarsi”.
Di segno opposto Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei medici: “Ad avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, essendone un responsabile, sia un pubblico ufficiale rappresentante dello Stato e non un medico”, ha scandito a caldo. E se già ieri sera ipotizzava come probabile una forte resistenza del mondo medico a irrogare deliberatamente la morte, stamattina il suo timore è già un dato di fatto: diversi Consigli dell’ordine, tra cui quello di Roma e Novara, hanno infatti preso le distanze dalla sentenza della Consulta.
“Per noi – ha fatto sapere Antonio Magi, che rappresenta i medici della capitale – non cambia assolutamente nulla. Il Codice parla chiaro e all’articolo 17 stabilisce che anche su richiesta del paziente non dobbiamo effettuare né favorire atti finalizzati a procurare la morte”.
Redazione da A. di I.