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Anche a S. Teresa è capitato di vivere una pandemia, ma con fermo “piglio pasquale”
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In momenti difficili e dolorosi come quelli che stiamo vivendo, in cui sentimenti di tristezza, paura, solitudine, abbandono e sconforto, generano pensieri assai cupi, è certamente incoraggiante ascoltare come momenti simili sono stati vissuti da una santa fiduciosa e appassionata come S. Teresina di Lisieux. Ce ne fornisce un quadro sintetico ma significativo F. Iacopo Iadarola ocd.
Nell’anniversario dell’ingresso di Teresina al Carmelo (9 aprile 1888, da lei accuratamente annoverato fra «i Giorni di Grazie concessi dal Signore alla sua piccola sposa»), condivido coi nostri lettori due paginette di Storia di un’anima (Ms A 79r°-79v°) di tremenda attualità. Confesso che, nonostante abbia letto Storia di un’anima almeno tre o quattro volte, le avevo candidamente dimenticate e ritrovarle ora è stato come leggerle per la prima volta.
Effettivamente anche Teresina non si dilunga sui fatti raccontati in queste due pagine del suo diario, e ne tratta quasi en passant, per quanto certo non si può dire che non dia loro importanza: «Mai potrò dire tutto ciò che ho visto, cosa mi è sembrata la vita e tutto ciò che passa […] la morte regnava ovunque». Teresina sta parlando di quella maledetta “influenza russa” che nella sola Francia avrebbe falciato 70.000 vittime in un solo inverno, e che nel Carmelo di Lisieux avrebbe ucciso tre consorelle nel giro di pochi giorni e prostrato fisicamente e psicologicamente tutte le altre.
Siamo nell’inverno 1891-1892, Teresina aveva appena compiuto 19 anni; ma come non pensare a quanto stiamo attraversando oggi, e che consolazione prendere atto che la nostra Teresina conosce fin troppo bene ciò che stiamo vivendo, dal momento che subì una pandemia sulla propria pelle, in condizioni igieniche e in un’emergenza sanitaria di gran lunga peggiori dell’attuale.
Quanto fa bene dunque rileggere queste pagine oggi e applicare la Weltanschauung della piccola via a questa grande tragedia che stiamo attraversando: con lo sguardo di Teresina, lo sguardo di una bambina di cui è il Regno dei Cieli, lo sguardo di una sposa appassionata che ha saputo guardare in faccia la morte e non averne paura, perché certa e fiduciosa che «tutto è grazia» e che tutto è nelle Sue amorevoli mani (non dimentichiamo che Teresina avrebbe pronunciato questa celebre frase nell’ultima primavera della sua vita, il 5 giugno 1897, in un frangente in cui non potendo ricevere i sacramenti comprese che anche ciò era una grazia: grande insegnamento per noi oggi…).
Solo con questo piglio di bambina e di sposa può esser tenuta ferma la speranza nella tragedia, rimboccandosi le maniche all’occorrenza e piangendo con chi piange; solo con questo piglio può esser “festeggiato” interiormente un compleanno con una morte; può esser intravista la gioia e la pace nel trapasso delle sorelle e ci si può sentire “viziati” da Gesù in circostanze in cui altri – proprio perché magari non han ricevuto la testimonianza luminosa della nostra fede – si sarebbero depressi o suicidati: perché è il piglio innamorato della Vita che vince la morte.
È il piglio della Pasqua.
Ecco qui di seguito le due pagine del Manoscritto A (79r°-79v°):
“[…] Un mese dopo la dipartita della nostra Santa Madre, l’influenza si manifestò nella comunità:[1] io ero la sola in piedi con altre due sorelle, mai potrò dire tutto ciò che ho visto, cosa mi è sembrata la vita e tutto ciò che passa… Il giorno dei miei 19 anni fu festeggiato da una morte, seguita ben presto da altre due.[2] In quel periodo ero sola in sacrestia, perché la mia maggiore di ufficio era gravemente ammalata, ero io che dovevo preparare i funerali, aprire le grate del coro alla messa, ecc. Il Buon Dio mi ha donato molte grazie di fortezza in quel momento, adesso mi chiedo come ho potuto fare senza spaventarmi tutto ciò che ho fatto, la morte regnava ovunque, le più malate erano curate da quelle che si trascinavano a fatica, appena una sorella aveva reso l’ultimo respiro eravamo costrette a lasciarla sola”.
“…La sera della morte della Madre Sottopriora, ero sola con l’infermiera:[3] è impossibile immaginarsi il triste stato della comunità in quel momento, solo quelle che erano in piedi possono farsene un’idea, ma in mezzo a quell’abbandono, sentivo che il Buon Dio vegliava su di noi. Era senza fatica che le morenti passavano a una vita migliore: subito dopo la loro morte, un’espressione di gioia e di pace si effondeva sui loro volti, si sarebbe detto un dolce sonno; e tale era veramente poiché dopo che la scena di questo mondo sarà passata, si risveglieranno per godere eternamente le delizie riservate agli eletti. Per tutto il tempo in cui la comunità fu provata così, potei avere l’ineffabile consolazione di fare tutti i giorni, la Santa Comunione… Ah! come era dolce!…Gesù mi viziò per molto tempo, più a lungo delle sue spose fedeli, perché permise che me Lo donassero senza che le altre avessero la felicità di riceverlo. Ero anche tanto felice di toccare i vasi sacri, di preparare i piccoli lini destinati a ricevere Gesù, sentivo che dovevo essere molto fervente e mi ricordavo spesso di questa parola rivolta a un santo diacono: “Siate santi, voi che toccate i vasi del Signore” […][4].
Redazione da ag. di i.